Il 2020 è stato un anno spartiacque per molti aspetti: i cambiamenti sono stati molteplici e profondi e hanno investito diversi ambiti. Se da una parte quella causata dalla pandemia è una crisi sanitaria che ha assunto sempre più anche i caratteri di crisi economica e sociale, come mostra il preoccupante aumento di “nuove povertà”, denunciato da parte delle Nazioni Unite e di Caritas, o la grave recessione economica che ha colpito, ad esempio, il settore turistico e ristorativo, dall’altra è indubbio che sono emerse nuove possibilità di crescita e di investimento in vari ambiti. Primo tra tutti, l’online.
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L’emergenza sanitaria ha accelerato infatti, nel mondo così come in Italia, l’adozione da parte dei consumatori dei servizi di consegna a domicilio e l’acquisto su siti di e-commerce, specialmente di prodotti alimentari. Abbiamo visto come, nei primi mesi del 2020 si è assistito a un vero e proprio boom nelle vendite delivery di gelato e che la digitalizzazione della ristorazione ha rappresentato uno strumento per favorire la ripartenza. Come riportato da Nomisma nel suo Osservatorio The world after lockdown, “la pandemia ha messo il turbo agli acquisti online degli italiani: nel 2020 il 37% dei food shopper online ha aumentato la spesa destinata ai prodotti alimentari sui canali online”.
Ma questo cambiamento come ha riguardato il mercato del vino, messo a dura prova dalle chiusure di ristoranti, enoteche e cantine? A rispondere è sempre Nomisma, che ha condotto un’ulteriore indagine – all’interno dell’Osservatorio Wine Monitor – specifica sull’e-commerce del vino. Ne abbiamo parlato con Denis Pantini, responsabile del Wine Monitor, per scoprire i grossi cambiamenti che hanno investito questo settore, le difficoltà ma anche le opportunità emerse in questi mesi.
E-commerce del vino in Italia: com’è cambiato con la pandemia? I dati Nomisma Wine Monitor
Nel 2019, in Italia una famiglia su tre ha optato per la spesa virtuale e, nel 2020, in Italia l’e-commerce in generale ha visto un aumento complessivo dell’8% rispetto al 2019: solo il settore food e grocery è cresciuto del 70% rispetto all’anno precedente. L’Osservatorio Wine Monitor di Nomisma – la prima piattaforma che permette di interpretare le dinamiche di mercato e sviluppare corrette strategie di business, grazie a dati aggiornati, informazioni dettagliate e servizi di consulenza su misura – ha svolto diverse indagini nel settore vinicolo, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo dell’e-commerce del vino che prima del 2020 ricopriva un ruolo assolutamente marginale nel nostro Paese.
Come spiega Pantini, “le vendite di vino online in Italia negli ultimi cinque anni, andando ad analizzare quello che era il fatturato dei primi dieci retailer specializzati, cresceva a un tasso medio a cavallo del 30%. Che non è poco, anzi. Ma si parlava di cifre veramente piccole. Poi con la pandemia è cambiato tutto: il 2020 ha fatto raddoppiare il fatturato, e noi oggi ci troviamo con un valore di vendite di vino online di poco superiore ai 200 milioni di euro che, raffrontato sul totale, è sempre una cifra bassa perché parliamo di circa il 7% di quello che è invece il valore di vino venduto tramite la GDO. Però si tratta comunque di un raddoppio: molto probabilmente, senza la pandemia, per arrivare a quelle cifre ci sarebbero voluti altri cinque anni”.
Denis Pantini: “La chiusura del settore Ho.Re.Ca costringe a cercare nuovi canali”
Il mondo del vino ha subito quindi una profonda trasformazione nel 2020, a causa soprattutto delle chiusure dei ristoranti e delle enoteche, ma anche per la sospensione di fiere e grandi eventi. “Necessariamente, quindi, ci si è dovuti spostare su altri canali distributivi, in primis la GDO e l’online” spiega Pantini. Vi abbiamo raccontato infatti delle soluzioni alternative adottate in pieno lockdown da viticoltori e aziende per conservare il business, come gli “smart tasting” e la possibilità, appunto, di comprare il vino online presso, ad esempio, le piattaforme di wine delivery. “Del boom dell’online abbiamo già parlato, ma anche la GDO ha messo a segno un aumento nelle vendite a valore di circa il 7%, tassi di crescita che non si vedevano da circa 10 anni”.
Ma chi ha beneficiato di questa crescita? “Chiaramente le imprese che erano già focalizzate su questi canali ne hanno beneficiato direttamente, tutti gli altri produttori vinicoli – in particolare quelli di più piccole dimensioni, che non hanno le spalle larghe per poter vendere il vino in grande distribuzione o che sono poco presenti sul web – sono quelli che hanno subito maggiormente gli effetti della pandemia”. Anche le imprese più dimensionate non hanno certo pagato un conto leggero, soprattutto quelle le cui vendite erano concentrate nel canale della ristorazione piuttosto che nella GDO, come dimostrano altri dati raccolti dall’indagine dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor. Ma potendo contare su strutture commerciali, finanziarie e patrimoniali più robuste ed essendo già orientate all’export e ai mercati esteri sono riuscite in qualche modo a contenere i danni. “La differenza che c’è stata soprattutto nei mercati esteri rispetto all’Italia – dati i tratti in comune della pandemia e delle chiusure del settore ristorativo – è che gli importatori sono stati capaci di spostare i vini acquistati dal canale Ho.Re.Ca a quello della GDO. A soffrire di più, quindi, sono state le aziende piccole e focalizzate sul mercato Ho.Re.Ca in Italia, mentre le altre che avevano una maggiore diversificazione di mercato e di canale hanno ridotto le perdite. Perché il danno principale è arrivato dal mercato italiano”.
Luci e ombre nel settore vinicolo: problematiche e possibilità emerse durante la pandemia
Come ci ha raccontato il responsabile Wine Monitor, sono state proprio le aziende vinicole più piccole – che fanno fatica ad arrivare all’estero o nella grande distribuzione – a pagare il conto più salato della pandemia. Ma ci sono anche altri fattori che bisogna considerare e che la crisi sanitaria ha portato allo scoperto. “Un aspetto che spesso si trascura nel mondo del vino” ci racconta Pantini, “è che ancora oggi molte imprese vinicole delegano il marketing al distributore. Prendiamo un esempio molto semplice: se un produttore vende una bottiglia di vino al ristoratore, è poi quest’ultimo a promuovere quella bottiglia al cliente finale, spiegando che quel vino è stato prodotto da quel produttore specifico in una certa maniera, e così via. È quindi il ristoratore che si occupa della parte di promozione e di marketing. La pandemia ha messo in luce il fatto che le aziende non hanno investito abbastanza sul marketing: venendo quindi meno quei canali distributivi, in molte sono rimasti scoperte”.
Se per molte aziende questo ha rappresentato un problema, altre invece hanno approfittato del mezzo digitale per farsi conoscere tagliando fuori il distributore e arrivando direttamente al cliente finale. Tra gli esempi più strutturati troviamo i cosiddetti wine club: “sono una risposta delle aziende che puntano a fidelizzare i consumatori attraverso una formula di abbonamento, o comunque di rapporto diretto. Permette di inviare a chi si iscrive al wine club i vini dell’azienda. Ovviamente, quanto più un’azienda e i suoi prodotti sono conosciuti, tanto è più facile che ci sia un gruppo nutrito di consumatori che possa aderire a questa iniziativa, mentre per piccole aziende non sempre è così. Quindi, è chiaro che non tutti hanno potuto creare proposte del genere: le imprese monoprodotto o che producono vini poco conosciuti hanno faticato, perché è difficile che il consumatore arrivi ad aderire a formule di fidelizzazione della fornitura”.
Una prima reazione alla crisi, da parte delle aziende più strutturate, è stata quindi quella di rispondere portando avanti formule del genere. “Probabilmente queste sono attività che si ridurranno una volta finita la fase pandemica. Tutt’altro discorso è l’investimento online: non pensare solo di appoggiarsi a un provider specializzato nelle vendite nel web potrebbe aiutare il produttore – anche più piccolo – a farsi conoscere meglio”. Per l’intervistato queste sono esperienze che, anche post-emergenza, resteranno utili. “Il fattore digitale non scomparirà, ma si consoliderà. Magari non crescerà ai ritmi che ha avuto nel 2020, ma sicuramente resterà un canale su cui le aziende continueranno a fare investimenti. L’esplosione che ha avuto in questi mesi porterà, ancheuna volta tornati a una nuova normalità, a una diversificazionedei canali di distribuzione”.
Identikit del consumatore digitale: chi ha acquistato il vino online?
Lo sviluppo dell’e-commerce del vino ha rappresentato, quindi, la vera novità di questa fase pandemica. Nel 2020, il 27% dei consumatori in Italia si è infatti approcciato al canale digitale, percentuale che equivale a circa 8 milioni di user. “Andando a vedere all’interno di questo 27% di user quali sono le componenti più rilevanti e spacchettando quindi i consumatori di vino per fasce di età, si è visto che l’utilizzo del digitale è aumentato in maniera superiore alla media nel caso dei Millennials (i nati tra il 1981 e 1996 ndr) e della Generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980 ndr), categorie che in generale hanno una maggiore predilezione nell’acquisto di vino ‘premium’, vale a dire vini di fasce di prezzo più alte”. Ma è emerso anche un altro dato interessante dall’analisi dei comportamenti di consumo, che ha permesso di identificare due tipologie di user:
- quelli che anche prima della pandemia compravano e consumavano vino fuori casa e che, quindi, privati improvvisamente di questa possibilità, si sono buttati nell’online come alternativa;
- quelli invece che, trovandosi a casa in smart working, hanno avuto a disposizione il tempo e la possibilità (e la curiosità) di farsi portare il vino direttamente alla porta.
“Riguardo alle tipologie di vino che i consumatori hanno preferito rispetto ad altre non ci sono particolari evidenze significative, tranne la questione degli spumanti. Questi sono – o meglio, erano – i vini che venivano consumati durante le feste e occasioni speciali. Venendo a mancare i grandi momenti di convivialità, chiaramente sono stati i vini che hanno sofferto il calo più rilevante”.
Vendita di vino online: inaspettati effetti positivi
“Chi compra vino online lo fa soprattutto per comodità di servizio e per assortimento. Un dato interessante, infatti, è che chi acquista online lo fa per accedere nello stesso momento a uno scaffale virtuale molto più ampiorispetto a quello che può essere, ad esempio, uno scaffale della grande distribuzione”. Questo aspetto ha fatto emergere un positivo effetto “collaterale” legato allo sviluppo del digitale, secondo l’intervistato. Come ci spiega, in Italia i consumi sono fortemente regionalizzati. “Se si conduce un’indagine sul consumo di vino di un emiliano-romagnolo, di un toscano o di piemontese, ad esempio, al primo posto delle abitudini di consumo ci sono quelle territoriali. Il piemontese consuma principalmente Dolcetto o Barolo, l’emiliano-romagnolo il Sangiovese, il Trebbiano o il Lambrusco, il toscano il Chianti, e così via. Con l’approccio alla digitalizzazione quello che molto probabilmente cambierà – e anzi, sta già cambiando come ci hanno confermato gli stessi produttori – è che c’è una maggiore curiosità a scoprire i vini di altre regioni e meno conosciuti rispetto a quelli più noti e tradizionali”.
Il futuro del vino sarà online?
Il 2020 ha ceduto il passo al 2021, ma purtroppo l’emergenza è ancora lontana dall’essere risolta: le nuove restrizioni costringono ancora aziende e produttori a trovare canali distributivi alternativi, e bar, ristoranti ed enoteche a fare i conti con le chiusure e l’asporto. Come confermano i dati, il canale e-commerce non è un trend temporaneo, ma un’abitudine che rimarrà ben salda. Dalla survey che Wine Monitor Nomisma ha condotto sul consumatore italiano, emerge infatti che il 24% degli wine user continuerà ad acquistare vino online anche una volta che si tornerà a una nuova normalità.
“La vendita di vino online non avrà ovviamente gli stessi tassi di crescita di questo periodo, ma resterà. Ed è un aspetto che riguarda non soltanto l’Italia, ma tutto il mondo. Ci sono Paesi dove l’online è fortemente sviluppato: penso alla Cina dove è il primo canale di vendita, con oltre il 20% delle vendite complessive del Paese, mentre in Italia il peso è ancorasotto il 2% del totale. Ad ogni modo, si tratta di un canale con cui tutti i produttori – italiani e non – dovranno fare i conti”. Secondo Pantini, questo comporta non solo maggioriinvestimenti futuri, ma un approccio al mercato che cambia radicalmente: “bisogna ragionare sulla multicanalità con tutte le attenzioni che questa richiede. Ad esempio, con l’utilizzo dell’online, il consumatore impiega poco tempo e con estrema facilità (attraverso il proprio smartphone)a comparare i prezzi di unostesso vino presente contemporaneamentenei diversi canali (fisici e digitali). Questo aspetto complica notevolmente le cose dal punto di vista del produttore e dei distributori, ed ecco perché bisognerà rivedere le stesse strategie commerciali tenendo conto di questa maggior trasparenza”.
Come dimostrano i dati e gli investimenti nel settore, quindi, lo sviluppo del digitale sarà destinato a diventare strategico anche per il mercato italiano e resterà saldo anche in una fase post-pandemica.
Voi avete mai usato l’e-commerce per comprare il vino in questi mesi?
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