Secondo i risultati di uno studio brasiliano, i vegetariani e i vegani manifestano episodi depressivi con una frequenza doppia rispetto a chi mangia carne. La causa accertata, invece, non è correlata al tipo di dieta scelta e non è legata a una carenza di vitamine, come la B12, o a una carenza di ferro. Non sono questi i motivi. Secondo Chris Bryant, psicologo e sociologo dell’Università di Bath, intervistato dalla rivista online britannica “The Conversation”, il vegetariano o il vegano hanno una maggiore consapevolezza di tutti i maltrattamenti che avvengono nei macelli nei confronti degli animali che poi vengono uccisi; maltrattamenti che hanno alla base la richiesta di carne al minor costo possibile. Questo provoca pensieri negativi su una situazione reale e fa sentire in colpa anche chi non la consuma. Di fronte a situazioni come questa, che di solito vengono ignorate o rimosse, molte persone moderatamente depresse hanno un atteggiamento più realistico di altre.

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Lo psicologo britannico, che da anni si interroga su quanto l’altruismo possa avere un ruolo nella riduzione della sofferenza animale, suggerisce che potrebbe esserci una terza ragione – visto che la ricerca dovrebbe essere condotta in più Paesi, come l’India, e su campioni più ampi (solo 82 dei 14.000 brasiliani intervistati erano vegetariani). Secondo l’articolo, chi ha scelto di non mangiare carne è anche abituato a vedere nei macelli e negli allevamenti immagini di violenza che altri solitamente non vogliono vedere o non conoscono, anche a causa del meccanismo di rimozione che induce, ad esempio, l’assoluta “sterilità” della fetta di carne esangue confezionata in vaschette colorate e foderate di cellophane. Scene di film come “Dominion” o “Earthlings”, che documentano la continua violenza sugli animali perpetrata dall’industria della carne, ne sono un esempio e, secondo il ricercatore, queste scene, unite al fatto che ciò che ogni vegetariano o vegano può effettivamente fare per evitarla è molto poco, possono causare depressione. Può essere confortante sapere che ciò che accade agli animali in queste situazioni “non è nel mio nome”, ma il realismo ci dice che solo una più ampia consapevolezza può fare la differenza. Resta comunque da vedere, magari in un campione più ampio e in Paesi in cui la scelta è numericamente più significativa, quanto il “pessimismo” cosmico sia davvero associato alla decisione di permettere agli animali di vivere.
